“Sarà una piccola rivoluzione”

La nascita della Ong e la centrale di Madege raccontati da Franco Manservisi, presidente di Solidarieta’ e cooperazione

Di Davide Morisi

“Quando finalmente avremo abbassato l’interruttore sarà una cosa da sogno”. E già pare di vederle quelle piccole lampadine, disperse nei villaggi dell’entroterra tanzano, che come per incanto si accendono a rischiarare la notte sud equatoriale. Un sogno per cui bisognerà attendere ancora diversi mesi, ma Franco Manservisi, presidente della Ong “Solidarietà e cooperazione senza frontiere”, è assolutamente determinato a realizzarlo.

Si tratta del progetto integrato “Pane, Acqua, Salute, Istruzione, Lavoro”, che comprende la costruzione di un impianto idroelettrico nella zona di Madege, un villaggio dell’area di Iringa, capoluogo nel centro della Tanzania. Il progetto, realizzato dalla organizzazione non governativa bolognese, prevede la costruzione di una centrale idroelettrica sul fiume Lukosi, che fornirà l’elettricità a nove villaggi, per una potenza totale di 1280 Kw (ma è già previsto il raddoppio). Un’opera notevole, considerate sia le enormi difficoltà logistiche – a partire dalla mancanza di veri collegamenti stradali con il sito dell’impianto – sia il costo, stimato intorno ai tre milioni di euro finanziati interamente da un’organizzazione non a scopo di lucro.

La centrale di Madege, tuttavia, è solo l’ultimo progetto di Solidarietà e cooperazione. L’impegno della Ong, infatti, risale a quasi trent’anni fa, quando venne fondata per iniziativa di Edgardo Monari, professore universitario e medico, recentemente scomparso. Un uomo dal carattere non facile, a volte addirittura “scomodo”, come lo definì Don Tarcisio Nardelli nel giorno del funerale, ma capace di una straordinaria passione e dedizione nell’aiutare il prossimo, tanto che ha donato tutti i suoi averi alla stessa Solidarietà e cooperazione. “Quando gli chiedevano cosa andasse a fare in Africa – racconta Manservisi che fin dai primi anni ’60 fu tra gli amici più stretti di Monari – rispondeva semplicemente che avevamo il dovere di fare qualcosa per chi ha più bisogno e per chi ci ha chiesto aiuto”. Un vero amore per questa terra martoriata, tanto che “faceva le notti in ospedale al posto dei suoi colleghi per accumulare giorni di ferie da spendere poi in Africa”.

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